Qualche anno fa ho rivisto casualmente, buttata in un angolo dell’armadio, la piccola Maria Bambina in cera della bisnonna. Sono rimasta incantata dall’umiltà del manufatto, a fronte del forte aspetto simbolico, dal momento che era la raffigurazione della Madonna bambina.

 Ho voluto saperne di più, scoprendo che in Lombardia si usava regalare alle giovani spose la teca in vetro contenente la statuetta in cera, come gesto beneaugurante. Sono andata in via Santa Sofia a Milano, dalle suore riunite in suo nome, dove ho scoperto l’origine e la storia del simulacro, nonché l’altare con lei dentro in dimensioni naturali.

Ponendo rimedio alla mia trascuratezza, ho deposto la piccola statuetta  in una scatola militare di legno   su un osso di seppia, tra lastre di rame e  ciottoli di marmo levigati dal mare. Lei sembrava riposare bene accolta, ma io  ero affamata di immagini che cercavo in internet , le collezionavo, cambiavo i viraggi, le stampavo , a volte vi dipingevo sopra, circondandole di  un blu che il più possibile cercava di fare tesoro della lezione di  Yves Klein, della sua ricerca inesauribile di infinito.

A poco a poco non ero più io a cercare ma era lei che si imponeva in una figurazione totalmente nuova per me, abituata a lavorare per lo più con forme astratte che utilizzavo nei libri d’artista e che accompagnavano testi filosofici  o poetici.

La raffigurazione di questo simbolo sacro è  diventata così  un  mito iconografico che contiene molte cose, spesso contradditorie, le riunisce insieme e le salva: la differenza di genere in primis.

Come fa notare la filosofa  Irigaray in un libro bellissimo su Maria, siamo invasi da immagini del Bambino Gesù e della Madonna vista unicamente come madre, mentre è totalmente assente una genealogia femminile con la quale le bambine si possano identificare: essere femmine, essere bambine, salvaguardare l’una e l’altra cosa, divenire madri di se stesse, perché mettersi al mondo è importante quanto mettere al mondo.

Maria Bambina è in divenire, è anche una piccola grande madre dell’umanità incistata nell’infinito, madre che Simone Weil definisce “Persuasione del Bene”. E’ verginità nel senso di ritorno costante al vuoto che è l’essenza di ogni cosa; epifania del silenzio da custodire insieme al respiro e materia incarnata dal soffio; è consapevolezza, buddhità , ricerca spirituale. In un senso più misterioso e privato Maria Bambina è diventata per me Anna Maria Bambina. L’alfa e l’omega della vita di mia sorella, si profilano  con immagini sorprendentemente simili: una culla e una bara altrettanto ricche di bende, fasce, pizzi, organza.

E non è raro in alcuni ex voto o statue che  raffigurano Maria Bambina, percepire una sorta di culla-sarcofago, vuoi per le fasce che la stringono a guisa di mummia, vuoi per l’effetto straniante  della cera che col tempo tende a disfarsi. In alcune rappresentazioni appare come in un bozzolo, in un baccello e si lega così  al potere simbolico del tema seme-morte-rigenerazione.

 

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© Annalisa Alessandrini